giovedì 3 marzo 2022

"Pinotu" racconta la Grande Guerra


  

 

 

 

Giuseppe Cattaneo, "Pinotu", nacque a Gavonata, frazione di Cassine, nel 1896 e vi morì nel 1987.


 

 

Una lezione di vita e di storia è il racconto di Pinotu, registrato da Roberta Roggero insieme al papà, che ringraziamo per averci fatto "rivivere" alcuni momenti del passato, tra cui la ritirata di Caporetto.

"Nel 1915 ho perso il padre, il 10 di agosto. A settembre sono andato alla visita militare. Mia madre aveva quattro bambini, tre da 9 anni in giù: due maschi e una femmina.

Il 22 novembre 1015 sono stato richiamato.

Noi lavoravamo le viti, coltivavamo grano, mais, fagioli...

Soldi non ce n'erano... Sono andato a fare la cisterna a "Roma" (nel cortile della Tenuta Monti) a trenta soldi al giorno, una lira e cinquanta...lavoravo a mano, col badile... Vivevamo "an pei 'd lu", sul bricco, da Scaparei - più o meno dove abita Gianfranco Ciccone  - ...la casa... c'era la credenza, il tavolo, le sedie... la casa aveva quattro stanze, c'era una sala, c'era un portico, la stalla... C'erano quattro camere, due sotto e due sopra: i tre maschi dormivano insieme in una stanza da letto, la bambina dormiva con i genitori.

Mangiavamo polenta e merluzzo, pane, qualche pezzetto di carne la domenica (avevamo polli e conigli), minestra con i fagioli... Fame non ne avevamo, anche se eravamo tanti... pane di farina non tutti l'avevano...

Una volta si andava al forno una volta la settimana, c'erano due forni, cuocevano il mercoledì  e il sabato (d'inverno una volta la settimana), si facevano dieci, dodici, quindici micche secondo quanti erano in famiglia...

La mamma di tua nonna Teresa andava con la cesta, era una famiglia numerosa... C'era il lievito... non c'era il lievito di birra, tenevano il "lievitato" da una volta all'altra; se si dimenticavano, se lo facevano imprestare... poi preparavano l'impasto con acqua tiepida... la farina non era setacciata come ora, c'era un po' di crusca insieme...

Non mi ricordo quando han fatto il mulino elettrico, l'hanno rimodernato che sarà cinquant'anni...

Allora facevano i "turtlei", li mettevano sulla brace con le molle, li rivoltavano -  il fuoco doveva essere forte - e poi li levavano... Dopo mezz'ora, tre quarti d'ora lo levavano, era buono piuttosto caldo, diventando freddo diventava duro...

Quando ero piccolo io, obbligo scolastico non ce n'era, ma quasi tutti li mandavano a scuola; a Cassine c'era fino alla quinta, poi han messo la sesta; io, dato che quarta e quinta erano a Cassine, ho fatto fino alla terza qui a Gavonata; due o tre bambini di Gavonata sono andati a Cassine a fare quarta e quinta, andavano a piedi (più avanti han cominciato ad andare in bicicletta); d'inverno andavano a casa di Cesira, al caldo, si portavano da mangiare... da Gemu tenevano un po' di pensione...

Tutti i giorni lavoravamo nei campi: in collina si usava la vanga, la zappa... nei campi si lavorava col bue, persino con la mucca... e neppure tutti l'avevano...

Nel tempo libero andavamo per nidi (a cercare i nidi)...

Alla domenica quasi tutti andavano a Messa... Chi non era di Chiesa, allora era quasi un bandito...

I giorni festivi ci trovavamo anche nella Società, dove si discorreva, si giocava a carte...

La giornata lavorativa andava da quando sorgeva il sole a quando tramontava... si faceva merenda nel pomeriggio, rapanelli, cipollotti... e poi quand'era buio si tornava a casa.

C'erano delle belle feste: a Cassine si faceva San Giacomo, Sant'Urbano, a Gavonata si faceva la festa di Fontanile, quindici giorni dopo Pasqua... Venivano a piedi da Maranzana, da Sezzadio, da Gamalero, da San Rocco... la strada era piena di gente... Le donne andavano a "trovare" la Madonna, c'erano le bancarelle con torrone, dolci, e poi c'era il ballo a palchetto, con la banda che veniva da Mombaruzzo... suonavano valzer, polka, mazurka... c'erano dei clarinetti che oggi non si sentono più... La gente "correva" perché allora non c'erano i locali da ballo...

A Cassine il mercato era tutti i venerdì, poi l'han spostato al sabato: hanno ricorso perché al sabato chi comprava carne... qualcosa di più del venerdì...

Vendevano roba di tutti i generi: verdura, formaggio, stoffa, scarpe, polli, conigli... tutti i generi.

Ci andava mia mamma, a vendere le uova (a casa se ne mangiavano poche, per venderle...) e anche i polli... poi comperava un paio di calzoni - aveva quattro figli - o una giacca... Venivano anche da San Rocco, per poter guadagnare dei soldi, per veder "la moneta"... Allora non c'era Piazza Cadorna, il mercato era in Piazza Santa Caterina.

I bambini, allora... si giocava con la "mongia", che è la trottola, non come adesso che i bambini hanno un mucchio di giocattoli... quelli che erano più ricchi forse ne avevano... La "mongia" si comperava... era rotonda, si tirava con uno spago e girava... ronzando... si giocavano anche i soldi... - quasi un po' di gioco d'azzardo! - ... giocavano anche alle biglie...

Per trovar lavoro, qui a Gavonata, come negli altri paesi, una buona parte emigrarono in Sud America... nelle famiglie numerose, in cui c'erano sette o otto fratelli, non c'era lavoro per tutti (allora a Gavonata c'erano cinquanta, sessanta bambini che andavano a scuola... non ce n'erano che avevano pochi figli...).

I miei fratelli hanno lavorato alla Fornace dei Fratelli Benzi, dove facevano le tegole di terracotta e i mattoni. I Benzi avevano quattro cavalli, con carretti e "tumbarè" (era un'industria fiorente), che continuavano tutto il giorno a portare le tegole alla stazione.

Io ho lavorato sempre nei campi. In ferrovia allora davano 37 o 38 lire al mese, a fare manutenzione. Mia sorella aiutava in campagna, mio fratello lavorava alla fornace. Poi mi son sposato, nel '26, sono venuto qui dove abito adesso, e son sessant'anni che abito qui.

In America allora trovavano lavoro: in Sud America si lavorava in campagna (l'America del lavoro!), in Nord America nelle fabbriche (l'America dei soldi!).

Qualcuno è emigrato in Australia, qualcun altro in California... come Carletu... ed erano quelli che stavano meglio. A New York c'erano emigrati da tutto il mondo: raccoglieva Giapponesi, Turchi... da tutto il mondo...

Poi non si poteva più andare... senza il "richiamo" non si poteva più emigrare, per la crisi... allora c'era già l'inflazione, lo scudo sudamericano valeva 44 soldi, al nord c'era il dollaro...

Anche mio papà, che è morto nel 1915, faceva il contadino: un po' di campi, un po' di viti... avevamo la mucca... tiravamo avanti "per mangiare".

Quando è incominciata la Prima Guerra Mondiale, il 24 maggio 1915, avevo diciannove anni. Io il 22 novembre sono stato chiamato... si andava anche allora a raccomandarsi, perchè quelli che erano in fanteria erano i più bersagliati... allora mia mamma, per "raccomandarmi", era andata in una cascina... c'era un tenente bravo... ha portato due polli... ma quel signore ha detto di portarli pure a casa, perché ne aveva già ricevuti tanti, dato che tutti andavano con lo stesso scopo... Tramite una mia zia sono andato anch'io a raccomandarmi, perché dovevo andare nel II° Corpo Granatieri...

Il 22 novembre 1915 sono stato destinato a Piacenza: siamo partiti da Alessandria in ottanta... coscritti... eravamo giovani, contenti... siamo arrivati là, ci han portato in una caserma, ci hanno insegnato a dormir per terra, più o meno vestiti... il pagliericcio era un sacco con dentro una manciata di paglia, non si dormiva sul pavimento, c'era una tavola, un isolamento dal pavimento, si dormiva con una coperta: abbiamo passato l'inverno... tanti si ammalavano, avevano la tosse, ma gli Ufficiali ci trovavano a dire: "Qui non è un ospedale, è una caserma!"

Poi ci hanno vestiti, ci hanno dato la divisa, ci hanno addestrati: il Caporal Maggiore anziano ci ha istruiti ad andare in file, tenere il passo, avanti - indietro, fronte a dest, fronte a sinist... ci ha insegnato a presentarci agli Ufficiali: quando ci chiamavano davanti ad un superiore, prima si faceva il saluto, sull'attenti, con le mani giù, con i tacchi uniti... ci hanno insegnato la disciplina militare, i regolamenti... così abbiamo tirato avanti tutto l'inverno, fino alla primavera... poi l'istruzione ai cannoni: farli, disfarli, smontarli,  tirarli su, giù, perché erano grossi, pesavano molti quintali... avevamo la "capra", una specie di paranco, con la "taiora" (una carrucola) di legno, poi ce ne han dato una francese con la catenetta, per sollevare i pezzi del cannone, che erano trenta, quaranta quintali...

Per trainarli lungo i sentieri, in montagna, c'erano dei carrelli con delle ruote alte così, si legava il pezzo del cannone sul carrello, c'erano due o tre timonieri al timone, che mettevano le "manovelle"... li portavano fino a 1300 metri, sulla linea del fronte; questo nella primavera del 1916.

I Tedeschi ci hanno fatto un'offensiva di fronte a Vicenza e lasciavano dietro la zona della III Armata, fino a Monfalcone... se sfondavano lì si perdeva un'armata, che era comandata dal Duca d'Aosta. I Tedeschi erano nel Trentino, si sono fermati, se no tagliavano fuori metà del fronte e quelli che eran di là in Friuli, dovevano ritirarsi o darsi prigionieri.

Noi eravamo pronti, con cannoni nuovi: erano duecentodieci mortai della Breda di Milano, a settecento pallini, ognuno era centosette chili; io e un bolognese, con una sbarra, si portava il tubo di caricamento del mortaio; lo "strapen" era questo proiettile, questa specie di granata che però  doveva scoppiar per aria, aveva un orologio, era a tempo, e scoppiava ad altezza d'uomo, si lanciava e scoppiava a cinque chilometri, non so che raggio... la spoletta aveva una miccia che entro un certo numero di secondi si incendiava, senza l'urto, mentre la granata era a percussione (scoppia quando colpisce qualcosa).

C'era un osservatorio con gli Ufficiali, per controllare se i tiri effettuati dalla batteria erano centrati sull'obiettivo, se no facevano le opportune correzioni del tiro.

Ad agosto del '16 siamo andati alla presa di Gorizia, soprattutto la fanteria, e abbiamo visto cinquantamila morti. Lì mi sono ammalato, mi è venuta la febbre, mi han mandato a Milano all'ospedale; mi sono raccomandato a una suora, perchè eravamo in un collegio... le ho raccontato la mia storia, le condizioni della mia famiglia... mi ha fatto avere quaranta giorni di convalescenza e son venuto a casa. A settembre abbiamo vendemmiato. Il 2 ottobre dovevo partire. Sono andato al deposito, dove destinavano i soldati che arrivavano dagli ospedali... Da qui, altra destinazione.

L'ufficiale mi ha detto: "Volete venire da cuciniere?" (Avevano richiamato Geniu 'u Sucrou, dell'84... 85...)

"Certo!"

Mi ha portato in fureria. "Questo lo porto su in cucina!"

"È già in partenza!"

Così... pazienza... Ho passato la visita e mi han fatto abile. Eravamo di partenza sul treno per Cervignano-Monfalcone: eravamo militari "di rinforzo", andavamo a rimpiazzare altri soldati, a tappare i buchi; il fronte era lungo 600 chilometri... eravamo cinque milioni di soldati: tre milioni al fronte, due milioni nell'interno (dalla Svizzera a Monfalcone).

Alla fine siamo arrivati a Casarsa, prima di Udine, sul Tagliamento; di lì i treni andavano in Carnia; lì io ero assegnato a un gruppo di quaranta soldati; altri settanta, dell'altra squadra, sono andati a Cervignano, un fronte cattivo... Noi quaranta siamo andati in zona di difesa, ho fatto un anno in Carnia, là la batteria era già a 1.323 metri.

Alla fine del '16 siamo andati di rinforzo in queste batterie (compagnie di circa cento uomini); ci han chiesto che scuola abbiamo fatto, a noi arrivati, e io avevo vergogna a dir che ho fatto la terza; ho detto: "Ho fatto quarta!"

Dopo un po' di giorni: "Cattaneo!", "Presente!", "Siete assegnato a fare il corso da telefonista e tagliafili!"

Ho fatto quattro e più anni - con quaranta e più meriti - da telefonista e tagliafili, ero ben visto dagli ufficiali... avevo insieme dei bergamaschi lavoratori, già un po' elettricisti...

Noi si faceva le linee, si tirava i fili... col filo di ferro, linee pesanti, e filo d'artiglieria, più sottile...

Il telefono... allora c'era il centralino che smistava le comunicazioni, noi si stava al centralino; quelli che erano più letterati erano in ufficio a scrivere; si facevano le comunicazioni.

In una buca, nella terra, per muri han messo delle piante, dei tronchi, sopra... cartone e terra, la porta per entrare: lì avevamo il centralino - una specie di tana - avevamo la stufa a legna: si faceva fuoco, d'inverno, in una latta che serviva da stufa.

Questo nel '17 in Carnia, una regione del Friuli. C'è una stazione che si chiama Stazione di Carnia, ci passa la ferrovia che va in Austria; da Tarvisio c'era un braccio di ferrovia che andava fino a Villa Santina - Fermo Cadore; adesso han soppresso il treno, non ci va più a Villa Santina.

Nel '17, ai Santi, si fa la ritirata: abbiamo avuto l'ordine di ritirarci, di prendere l'otturatore, buttarlo in un burrone per evitare che i nemici se ne impossessassero; abbiamo preso quei due o tre stracci che avevamo e via, ritirarsi; nel frattempo, durante la ritirata, mi si è forato un dente; il medico mi ha mandato a Chiusaforte dal dentista. Quel dentista ebbe compassione di noi - era capitano - dopo tre quattro giorni mi ha medicato il dente; la mattina dopo ci ha lasciati in libertà; tutti venivano indietro: da Chiusaforte son venuto indietro a Moggio Udinese... sono andato al mio reparto, che da Moggio distava nove chilometri, attraverso questa valle; là mi son presentato in fureria (a Chiusaforte c'erano dei soldati, tra la III Armata e noi, che erano scappati).

Un ufficiale mi ha detto: "Gli Austriaci sono già ad Udine!"

Dopo qualche giorno di nuovo l'ordine di ritirarsi: siam venuti a Moggio, un paese grande come Cassine; lì c'é stato un "saccheggio": tutti erano padroni di quel che riuscivano a prendere: chi prendeva formaggio, chi bottiglie... perchè c'erano magazzini dove i soldati addetti alla spesa compravano, c'erano magazzini grossi, c'era di tutto: chi arrivava, prendeva... si procuravano da mangiare... noi lo chiamavamo "saccheggio".

Siam venuti a Tolmezzo; lungo la strada uomini si ubriacavano, poi restavano lì ubriachi...

Siamo venuti a Tolmezzo, una cittadina come Acqui, con il ponte sul Tagliamento; in riva al ponte la gente: borghesi, uomini, donne, bambini, carri, buoi, culle, sui carri un po' di tutto, farina... erano uno sull'altro: borghesi, soldati... per passare sul ponte si prendevano a botte... Basta... dopo ore ed ore siam passati: alcuni passavano aggrappandosi esternamente al ponte...

Siamo andati oltre, in una frazione, dove siamo rimasti due o tre giorni in attesa di ordini.

A Tolmezzo, il ponte era come quello di Sezzadio, di ferro, non bastava più per la gente: militari, carri, buoi, donne, uomini, bambini... per passare di là...

Vicino a quel ponte c'era un po' di pianura, non era una valle stretta di montagna; attorno ai campi c'erano dei biancospini grossi come una gamba, alti quattro o cinque metri... Noi eravamo già dall'altra parte... dietro queste siepi gli Austriaci passavano correndo, col fucile... si vedevano come guardare là...

C'era lo stradale che faceva il valico, si saliva, ma non era alto... e si scendeva in pianura... nel scendere il Tagliamento era già aperto nella pianura... c'era tutta una fila di draghi: sono dei palloni - aerostati - che servivano da osservatori... ce n'era una serie che si vedevano come fino a Cassine: avevano la forma di un maiale, non erano fatti come un fiasco, no, erano coricati...

Allora ne abbiamo rotto uno, ma grosso, che era attaccato a una fune da camion... e c'erano gli aerostieri, quelli dell'osservazione, lasciavano andare su, mollavano la corda attaccata... e andava su un ufficiale che andava a vedere cosa facevano gli Austriaci... e poi dentro avevano come una culla, erano seduti, col telefono, e stavano là a osservare, davano i dati a noi, ma noi eravamo a zero, non avevamo più niente, solo più le scarpe nei piedi... qualcheduno di fanteria si trovava in quelle siepi e dicevano che c'erano gli Austriaci... noi abbiamo preso quella strada di corsa... e via a correre! Basta! Austriaci non ne abbiamo trovati! Poi siamo scesi vicino a Pordenone: lungo lo stradale che viene su da Padova e va verso Udine... soldati che scappavano... sbandati, con più niente, pieni di fame...

Abbiamo preso questo stradale, a Sacile c'era una ferrovia che l'han fatta gli Austriaci, che andava a Vittorio Veneto... l'hanno fatta più in là, che gli Italiani non la vedevano... questa ferrovia veniva a Conegliano... arrivati lì, c'era la gente come le formiche, la strada non bastava più per la gente, uomini, donne, militari che scappavano, donne in bicicletta, signorine... e lì abbiamo passato il Piave, siamo andati sotto il Grappa, a Romano Alto... noi eravamo con quattro cannoni, ne avevamo dodici, ma otto li avevamo persi... ci hanno mandato sotto il Grappa con questi quattro cannoni, ma poi si doveva salire... poichè ne avevamo solo quattro, abbiamo dovuto lasciare uomini e pezzi e ci hanno destinato a Este, in provincia di Padova... si faceva la ritirata...

Este era oltre il Po, abbiamo attraversato il Po, a Pontelagoscuro, non so a quanti chilometri ci sia il mare... non l'ho visto, il mare... si vedeva Ravenna a occhio nudo, ma noi non siamo andati, siamo andati avanti, camminavamo dalla mattina alla sera... siamo andati vicino alla ferrovia Mantova-Bologna, e lì mi han fatto un biglietto ufficiale di montare sul treno... a Nogara, che era lungo la ferrovia; nella stazione c'era in servizio di picchetto un tenente colonnello (gli ufficiali di picchetto si mettono la fascia di traverso): 

"Maresciallo, venga qua!"

"Comandi!"

"Vergogna! Trentamila artiglieri senza cannoni!"... e noi là, tutti sull'attenti... gliene ha dette tante... adesso non mi ricordo...

Arrivato il treno, siamo saliti, siamo andati a Cividale, dovevamo andare a Mirandola, noi, ma il treno non ci passava, siamo scesi a Cividale, c'era un omnibus del comune, col cavallo, ma aveva le rotaie... siamo montati su e siamo andati a Mirandola, provincia di Modena... lì mi han dato del pane francese, che noi non ne avevamo più...

Il reparto non l'ho abbandonato, perchè avevo paura di andar peggio, perchè noi si poteva andar via quando si voleva, ma noi siamo stati con loro, ai suoi ordini, ed erano contenti...

Mi hanno adibito al comando, che tutti i posti che c'è a militare lo sa, li manda: "Andate a quella cascina, via tale, numero tale, c'è due letti... tre letti..."

Siamo stati adibiti lì. Io ero guardafili telefonista di centralino: si diceva "Pronto?"

"Dammi il numero tale..."; mi hanno messo di piantone: come piantone facevo il servizio d'ufficio, mi mandavano a cercare per quella cittadina (era come Nizza), andavo a cercare preti militari, ufficiali, con le guardie...

Vado nella via tale, chiamo a un numero: "Permesso?"; esce la padrona, il padrone...

"C'è un ufficiale, qua?"

"Sì"

"Devo parlarci"

Avevo la lettera: "Devo consegnare questa busta"; si andava indietro a prenderne altri...

Abbiamo fatto l'inverno del '18. Sulla piazza c'era il padre di Borsino, era carabiniere...

Borsino, il maresciallo, era della mia classe... lui mi ha conosciuto: "Oi, d'la Gavunà"

"At cunes nent..."

Era vestito da soldato sbandato.

"A sun Bursei"

C'era anche un altro: uno aveva il paletò, da militare, l'altro la mantella... ero in confidenza, lo trovavo... si parlava, mi chiamava... Camminando per la strada, una volta ero in mezzo, e Borsino ma ha detto: "Levati di lì, che pare che tu sia in arresto!"

Gli ho detto: "Noi queste regole non le conosciamo!"

In primavera andiamo a Piacenza nel nostro deposito, lì mi han dato tutto nuovo, migliaia, migliaia di soldati... delle piazze di cannoni... e ogni giorno ne partiva un reggimento... moto, biciclette, corde... tutto nuovo...

Uno ha detto che avrebbe voluto che l'Austria andasse fino in Sicilia... s'è fatto sentire, ha avuto la fucilazione, lì a Mirandola.

Dopo quindici, venti giorni che eravamo a Piacenza, siamo di partenza, armati di tutto... c'è un treno, siamo partiti, siamo andati a Castelfranco... Si è fermato il treno, siamo scesi: "Che cosa dobbiamo fare?"... siamo andati all'osteria: "Di', o padrone, dove si trova Caerano? Siamo destinati ad andare a Caerano..."

"Là sparano!"... noi lo sapevamo già che sparavano... pioveva, c'era un fango! con i cingoli le trattrici ci portavano... c'era delle trattrici che non erano con noi, andavano quando erano comandati... hanno preso i cannoni... là era tutto pronto, le piazzole, un piano di travi... noi tiravamo i fili: tira di qua, tira di là... e poi abbiamo fatto i tiri per provare, i tiri di aggiustamento... che avevamo Valdobbiadene, Moriago, Vidor...

Poi si sparava: "Noi questa notte alle due dobbiamo sparare sulla strada tale... un paese..."; noi, dodici cannoni... la granata 44 chili, per ogni pezzo (ogni cannone) 40 chili; al comando: "Batteria, fuoco!", il maggiore al telefono... insomma si doveva sparare alle due e noi alle dieci eravamo già informati di prepararsi... tutto pronto, tutto a posto...

Sentendo al telefono "Batteria, fuoco!" tran-tran-tran... una vampata! di notte. 

Così quasi tutte le notti... Poi nell'offensiva, di giorno, loro, gli Austriaci - noi siamo informati che ci sparano - si preparavano: al 18 giugno del '18, alle tre di mattina, loro hanno attaccato il fuoco, noi abbiamo contrattaccato subito, il cielo era rosso... noi sul fronte si aveva seimila cannoni e tre milioni di uomini, al fronte... 

Ad Acqui c'è il monumento agli artiglieri di montagna, coi muli, che portano sul basto tutto: mangiare, munizioni, cannoni...

Io ero a sinistra del Montello: il Montello è dieci chilometri per dodici, ma era una collina bassa, come Gamalero... noi eravamo "strada di pianura"... lì facevano, dal 18 al 22, quattro giorni di offensiva e controffensiva, ma loro son passati di qua quattro chilometri di profondità, noi abbiamo avuto la fortuna di mandarli indietro a cannonate, a sinistra del Piave...

La battaglia più forte è stata a destra del Montello, prima... invece di sparare a Nord, si sparava a Est, si sparava al ponte che hanno buttato giù a zattere... il Genio Pontieri l'aveva buttato giù nel fiume... abbiamo sparato quattro giorni, dal 18 al 22 giugno: dei dodici cannoni ne avevamo cinque fuori uso (dentro al cannone c'è una rigatura che dà la rotazione al proiettile... cinque con la rigatura fuori uso... e uno ha preso un colpo...).

Nel '18 noi eravamo più forti che loro, avevamo da mangiare, non ci mancava niente, loro mangiavano i cavoli in conserva nei barili, fagioli nella minestra, senza pasta, il pane nero come fuliggine... eravamo quasi superiori... nel Diciotto se loro mandavano un colpo, noi ne mandavamo dieci... avevamo gli Arditi, le bombarde (c'erano soldati che erano nei Bombardieri), cannoni che hanno inventato a tempo di guerra, che tiravano una bomba, strappavano tutto...

Nel Quindici, solo a Gorizia abbiamo perso cinquantamila uomini, tagliavamo i fili, le reti con le forbici, con le tenaglie, si faceva la guerra a forza di braccia, andare all'assalto... invece i bombardieri spianavano tutto, queste bombe erano cariche degli esplosivi più terribili...

L'aviazione era zero con noi, non zero... ma mancava poco... se dava fuori qualche apparecchio, i nostri... fuori per la caccia! Sul Montello il maggiore Baracca scendeva a bassa quota a mitragliare i Tedeschi a cento metri... ha preso una fucilata nel serbatoio della benzina, s'è incendiato, è stato carbonizzato... Il re è andato a vedere sul posto.

L'aviazione era più forte: avevamo Baracca e Baracchini...

Baracchini era un toscano, aveva poca salute, si è congedato... Baracchini ne ha abbattuto 31, Baracca ha abbattuto 33 aeroplani austriaci... Non potevano più tirare avanti, mancava di tutto, i soldati facevano delle sommosse... quando si ha fame... Hanno mandato tre o quattro austriaci e quattro o cinque italiani alle prime linee (non posso dire quanti, non li ho visti): "Pace!", si sono incontrati quattro o cinque di là e quattro o cinque di qua: "Cosa dobbiamo fare?"... hanno fatto un armistizio.

A mezzanotte è arrivato un fonogramma: "Cessate il fuoco!", la guerra è finita... tutta la notte a cantare...

Ne ho viste tante... facendo il nostro dovere... io non facevo la spia, ma portavo rispetto agli ufficiali, eravamo sempre assieme, per tre anni, con questo ufficiale...

Dopo ho fatto ancora un anno di militare... Per i Santi sono venuto a casa, nel Diciannove: mi sono congedato il 19 dicembre... la guerra era finita nel Diciotto...

Abbiamo portato i cannoni a Sermine, una cittadina in provincia di Mantova, con dei camion... era sulle rive del Po, li imbarcavano sui navoni e andavano in fonderia; li abbiamo portati lì, e poi quelli dall'Ottantotto in basso sono restati là per andare in congedo, noi giovani siamo andati a Udine al recupero proiettili: dove trovavano bombe e proiettili, i borghesi andavano in Municipio o dai Carabinieri, e poi gli Artificieri andavano sul posto e li facevano scoppiare... Abbiamo perso un anno... son venuto a casa il 19 dicembre... poi c'era ancora il congedamento: dal 15 al 25, dieci giorni di congedamento... Prima son partiti quelli che andavano in Sicilia, in Calabria... più lontano... poi sono partito.


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