A servizio
Anche stasera Camilla dedica una mezz’ora alla nonna riflettendo che le piomberanno addosso notizie di anziani che non ce l’hanno fatta e immaginando il suo stato d’animo.
“Cosa mi racconti stasera? Ci hai già pensato”
“Voglio parlarti di un’usanza che oggi è lontanissima dalle aspettative di voi ragazze, tanto che non potreste neanche immaginare… Molte giovani donne della mia generazione imparavano fin da piccole a sbrigare le faccende domestiche e poi, poco più che adolescenti, venivano affidate a famiglie benestanti che avevano bisogno di una collaborazione in cucina o in casa. Le più fortunate rivestivano il ruolo di dame di compagnia, ma più spesso erano trattate come serve o apprendiste-serve perché non ricevevano neppure un salario decoroso. Già il fatto di avere una bocca in meno attorno al desco familiare era positivo. Poi venivano vestite di tutto punto perché i signori non volevano sfigurare nel loro ambiente e per di più potevano portare a casa qualche abito dismesso o un paio di scarpe per i fratellini.”
“Nonna, hai conosciuto qualcuna di queste ragazze?”
“Una è diventata mia amica ed è spesso uscita con noi, quando tua madre era piccola, perché un coetaneo del nonno le ha fatto il filo per un po’…”
“Quindi aveva del tempo libero?”
“Certo. La domenica pomeriggio la signora presso cui era a servizio la lasciava venire con noi. Ci conosceva bene perché eravamo in affitto in quello che oggi sarebbe un bilocale di sua proprietà.”
“Tu e il nonno abitavate in un bilocale?”
“Proprio così: cucina e camera da letto. Il bagno allora non c’era e il gabinetto, in comune con i vicini, era in fondo al terrazzo su cui si affacciavano tre alloggi, mi pare…”
“Siete rimaste amiche per tanto tempo?”
“Certamente! Poi ha sposato un nostro compaesano che faceva il panettiere, quindi un buon partito… Una volta – mi sembra per Pasquetta – siamo andati dai suoi al paese, che era imbriccato sull’Appennino: c’erano i suoi genitori e numerosi fratelli e sorelle.”
“Quando si è sposata, chi ha preso il suo posto?”
“Per un certo periodo la sorella minore, che tuttavia era meno graziosa e sveglia di lei.
Poi ricordo una parente acquisita che, ancora molto giovane, era stata mandata “a servire” – guarda che si diceva proprio così! – a casa di un medico, ma sentiva tanto la mancanza delle sorelle che quasi si ammalò. Per lei quell’esperienza fu un vero dramma, tanto che dovette ritornare a casa altrimenti la malattia sarebbe diventata seria, tanto era il disagio che provava.”
“Anche alla generazione di mamma toccarono esperienze del genere?”
“Qualche volta, ma i tempi sono cambiati rapidamente dopo la guerra… Vicino a noi è vissuta per qualche tempo una ricca signora cui il marito comprò e arredò una villetta in campagna, che, guarda caso, fu proprio quella che tuo nonno aveva voluto per noi, salvo poi cambiare idea e pretendere di venderla per farne un’altra…”
“Così questa signora ti sarà risultata davvero antopatica!”
“Non tanto perché, sebbene fosse davvero benestante e fosse vissuta in città tra tutti gli agi, aveva perso entrambi i figli in incidenti in montagna, perciò provavo molta compassione per la sua solitudine. Aveva una dama di compagnia che si occupava anche di tutti i lavori di casa, e in più ebbero una collaboratrice qui del paese, poco più vecchia della tua mamma: l’aiuto dell’aiuto, insomma…
Oggi le ragazze come te si vergognerebbero se fossero spinte dalla famiglia a fare lavoretti come questo nel tempo libero dalla scuola, invece per la passata generazione era ancora considerata come un’opportunità di ampliare le proprie esperienze e conoscenze.”
“Uno stage, insomma…”
“Di cosa stai parlando? Uno… che?”
“Stage, nonna! E’ un lavoro non retribuito o poco retribuito, che permette ad uno studente di fare un po’ di pratica. Purtroppo non sempre persegue scopi o raggiunge risultati utili per ambo le parti.
Ora devo lasciarti, nonna! Grazie per la chiacchierata. Buonanotte!”
“Buonanotte a te e grazie per la videochiamata: mi fa tanto piacere vederti, oltre che sentirti!”
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