Arriva come una valanga: in breve porta con sé tutto ciò che si trova sulla sua traiettoria, anzi, peggio, dilaga a macchia d’olio. Solo ieri le televisioni annunciavano i primi casi di coronavirus in Italia e tutti imputavano la responsabilità – per non dire la “colpa” – alla mancanza di controlli e di precauzioni nei confronti dei Cinesi rientrati dai festeggiamenti del Capodanno in Cina, appunto.
La sera successiva è già panico: viene istituita la “zona rossa” e le persone che si trovano all’interno non devono in nessun modo uscirne per non contagiare altri. Si sa che “le leggi son, ma chi pon mano ad esse” fin dai tempi di Dante, perciò si rende necessario presidiare le vie addirittura con l’esercito! Le immagini dei soldati nelle ore serali, delle strade vuote, di qualche temerario che esce a fare due passi, fanno il giro del mondo e la gran parte dei commenti sottolinea con stupore l’esagerata risposta degli operatori e degli amministratori. E sono ancora gli Italiani, per giorni e giorni, che vengono additati come untori: sono loro che contaminano quasi tutte le nazioni. Questo tam tam si ripete per giorni e giorni finchè finalmente qualcuno incomincia a capire e a spiegare che alcuni focolai sono stati innescati in tutt’altro modo, che forse non c’era modo di fermare questo virus mutante che può essere diffuso da positivi asintomatici come pure portare dritti dritti all’ospedale, in rianimazione o alla tomba.
Quando tutta l’Italia si ferma – ci vuole un po’ a dire il vero – la situazione è già divenuta difficile in molte nazioni e in ogni continente. Altre immagini drammatche di camion dell’esercito che trasportano feretri verso le località dove potranno essere cremati lasciano sbigottiti. Ma non senza parole: ognuno dice la sua, si sente tutto e il contrario di tutto. Certo è che l’aria diventa più respirabile e ora che si potrebbe andare in giro senza intossicarsi, si deve restare a casa.
Camilla ogni sera si incontra con la nonna in Skype (per fortuna glielo aveva installato in tempi non sospetti e le aveva insegnato ad accedervi) ed ascolta i suoi racconti.
Le scuole sono chiuse, si fa lezione online, ma certo si guadagna del tempo.
“Di cosa mi parli stasera?”
“Oggi mi è capitato tra le mani un copione, una ventina di pagine sì e no, che aveva dattiloscritto il nostro maestro.”
“Un copione? Facevate anche voi la recita alla fine dell’anno scolastico?”
“Non sempre, ma alle elementari, in quarta, abbiamo avuto un maestro che di nome faceva Aiace. Già suo padre aveva insegnato nella nostra scuola: lo ricordo nelle foto di classe con scolaresche di una quarantina di alunni. Aveva l’aspetto molto severo. Il figlio, invece, era di carattere mite, tranquillo. Di quell’anno scolastico ricordo che un giorno di primavera si fece una lunga camminata fino a Sant’Andrea, la frazione dove insegnava la maestra che avevamo avuto in terza: un paio di chilometri con il pranzo al sacco, per andare a salutarla. E’ stata la mia prima gita scolastica.
Poi abbiamo rappresentato una commedia che alla fine dell’anno scolastico presentammo al pubblico nel teatro delle Madri Pie Franzoniane. Quante prove abbiamo fatto! Avevamo appunto questo copione il cui soggetto era basato sull’interazione di un gruppo di ragazze, le quali, alla fine, con l’aiuto appunto di una dama che appariva ritratta su un quadro di casa, si vestivano da cavalieri e dame per ballare un minuetto, cantandone alcune parti. Il tutto per festeggiare un’amica con un regalo originale.
‘M’inchino alla damina’,‘M’inchino al cavalier’, ‘Vuol darmi la manina?’, ‘Ma certo, con piacer’, ‘Danziam… danziam… con gioia e con ardor’, ‘Graziosa è la damina’, ‘Compito il cavalier’ eccetera eccetera…
Pensa che le nostre mamme realizzarono le parrucche con i boccoli cucendo la stoppa su una calottina di tessuto. Mentre nella prima parte della recita indossavamo abiti comuni (mia madre me ne aveva cucito uno nuovo, verde con fiocchetti bianchi sulle tasche), dopo l’intervento della dama del ritratto indossavamo abiti lunghi, degni delle migliori nobildonne e dei loro cavalieri, con tanto di trucco e movenze leziose.
Loredana impersonava la protagonista che dà il titolo alla commedia. Era più alta di noi e per una replica ci facemmo imprestare addirittura il costume storico che indossava la Duchessa durante la sfilata di Carnevale (5), quando il corteo dei carri era preceduto dalla carrozza dei Duchi e alla fine si leggeva la ‘businà’ che metteva scherzosamente alla gogna coloro che, durante l’anno, avevano fatto parlare di sé per un motivo o per l’altro.”
(5) “La maschera caratteristica del paese, negli anni ’50, era il duca delle Trecascine con la consorte duchessa di Monte Colombaro, che lanciava ogni anno il suo proclama per aprire il Carnevale” (S. Arditi – G. Corrado, Cassèini ‘d na vôta, a cura del Comune di Cassine)
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