venerdì 14 gennaio 2022

Imitando Verdone

 








 

 

 

Imitando Verdone




 

 

 

 

 

 

 

 

 

                      

 

 

                Per cominciare


 

 

 

 

 

 

Dice l’autore che raccontando episodi del passato inconsciamente li modifichiamo facendo emergere aspetti che guariscono conflitti e portano serenità. E’ vero che, quando li ripercorro, mi giudico e vorrei aver detto parole diverse: perché non mi sono venute in mente? Ho fatto certamente la figura dell’imbranata. Il modello giovane donna attraente, affascinante, che sa ridere e fare battute, con rispettosi corteggiatori al seguito, strideva con le istruzioni genitoriali: non fermarti a parlare con chi non conosci. Anche se è soltanto un ragazzo in villeggiatura? Temo di sì. Così mi sono appiccicata addosso l’etichetta “non sono all’altezza” e me la sono portata sui banchi di scuola al liceo e all’università.

Tutta un’altra storia quando ero alle elementari e alle medie, perché lì tutti mi ripetevano quanto ero brava! Al ginnasio il cambiamento. Il mondo era pieno di giovani donne e giovani uomini più in gamba di me. Più sicuri. Meglio vestiti. E che discorsi sapevano fare! Leggevano romanzi appena pubblicati, mentre io attingevo esclusivamente alle edizioni economiche che pure mi aprivano un mondo! Le compravo nell’ordine in cui uscivano. Per esempio Mondadori solo dopo un po’ iniziò a numerarli. Comprai “Il Cardinale”, il primo che mi capitò tra le mani, in edicola, e non aveva numero. L’editore stava ancora tastando il terreno. Invece giravano in classe edizioni in brossure, che sfogliavo, quasi carezzavo: contenevano pagine realistiche, audaci, ma sfogliando a caso non le beccavo. Come per “Il giardino dei Finzi Contini”, che pareva scritto apposta per le mie compagne e i miei compagni.

Stava crescendo in me un complesso di inferiorità – oggi si chiamerà diversamente, lo so – che minava il solido terreno su cui avevo camminato da sempre. Non ero la sola a sentirmi fuori luogo, ma altri non sembravano esserne turbati e tiravano avanti apparentemente senza danni. Io dovevo aumentare lo sforzo, l’impegno, per raggiungere obiettivi sufficienti a stare a galla. Non mi era di consolazione il fatto che altri abbandonassero.

Già mi ero arresa con gli studi di pianoforte, ma almeno in quel caso non era stata una scelta mia: ero stata spinta a seguire orme che non mi avrebbero portata da nessuna parte, stretta com’ero tra desideri ambiziosi dei miei, elogi degli insegnanti che forse volevano solo conservarsi un’allieva, incomprensione per certi esercizi che mi parevano noiosi e a volte fingevo di eseguire, eccesso di tecnica e scarso piacere nelle esecuzioni. Certo una volta che avevo imparato un brano ero lieta di farlo sentire, ma il “che brava!” veniva da voci incompetenti o compassionevoli. “Non ce la posso fare a studiare latino, greco, filosofia e tutto il resto, se due pomeriggi la settimana devo andare ad Acqui a lezione di piano!”: eccola lì la scusa, già bella e pronta. “Continuerò a studiare qualche pezzo per conto mio e poi, quando avrò finito il liceo, vedremo…”. Arrivarono gli spartiti dei valzer e tanghi celebri, perché a me piaceva ballare il liscio con mio padre. Avevo imparato con lui e c’era tra noi un affiatamento che non ritrovavo con altri in pista. Mi piaceva anche la voglia di ballare che ci contagiava quando eravamo a tavola, o comunque dediti ad altre attività, sentivamo le note di un pezzo che ci piaceva e...pronti via! ci alzavamo a ballare. Anche se non sono mai stata brava a ballare il liscio, e me ne accorsi quando le scuole di ballo iniziarono a sfornare coppie tecnicamente più preparate, con lui mi sentivo sicura e riuscii a portare sulla pista quella disinvoltura ancora per molti anni, anche senza mio padre. Mi sentivo leggera ed elegante in quel volteggiare fino allo sfinimento. Questa, se mai ce ne fosse bisogno, è la prova di come cresciamo in balìa di sentimenti e sensazioni contrastanti, talvolta motivati, talvolta del tutto immotivati: davvero marionette guidate dall’inconscio, a discapito della consapevolezza che viene meno se non ci fermiamo per riportarci esattamente là dove siamo. Ma nessuno ci ha insegnato quali rischi corriamo quando ci abbandoniamo ai ragionamenti, quando valutiamo, soppesiamo, scegliamo, privilegiamo, affondiamo pezzetti di noi… così quando il sistema si imballa non riusciamo a tirarcene fuori.























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