Al cinema
“Figlio mio, tu non lo sai, non puoi saperlo, non te l’ho mai raccontato. Ho avuto paura. Avevi quasi due mesi, ci eravamo stabiliti dalla nonna pensando di restarci solo per il fine settimana, invece i giorni passavano e noi sempre lì. Il sabato sera le chiedemmo di badare a te: doveva solo sorvegliarti, ormai eri addormentato e per un po’ di ore avresti dormito. Non si sapeva mai per quanto tempo, perché non eri un dormiglione, ma stavi prendendo il giro giusto: stavi sveglio di giorno e dormivi di notte. Finalmente! Così decidemmo di andare al cinema. Non eravamo più usciti, la sera, da quando eravamo diventati genitori e di giorno papà, come artigiano, era sempre impegnato. Io mi occupavo di te in quel privilegiato periodo di congedo obbligatorio per maternità: eri, a dir poco, ‘impegnativo’, almeno per me che non ero un’esperta! Dopo otto o nove chilometri, in una curva che avevamo percorso decine di volte, l’auto, forse perché l’asfalto era bagnato, girò su se stessa: un testacoda che ci lasciò nella corsia opposta, in direzione di marcia contraria a quella che tenevamo pochi secondi prima. L’auto si fermò, non si avvicinò al bordo strada. Quella che sopravveniva in direzione opposta fece in tempo ad arrestarsi; il ragazzo che guidava chiese a tuo padre: ‘Ma a che velocità hai preso la curva, per girarti così?’
Forse c’era entusiasmo da parte nostra per quell’uscita serale dopo tanto tempo, forse l’ebbrezza avrà reso tuo padre imprudente, gli avrà fatto impostare la curva troppo allegramente… o forse era solo l’asfalto bagnato, sta di fatto che io mi sono vista, come in un flash, come sarebbe stato lo stesso testacoda se l’auto che sopravveniva fosse stata più vicina. Se ci avesse urtato, sai, allora non c’erano le cinture di sicurezza ed io non avevo neppure il volante come appiglio… Quando l’altra auto è ripartita, abbiamo deciso di tornare a casa. Dieci minuti dopo rientravamo piuttosto mogi ed io più spaventata che mai. Se fossi finita all’ospedale non avrei potuto tenerti fra le braccia per un po’ e la nonna avrebbe dovuto sobbarcarsi un duplice impegno: dover badare a figlia e nipote. L’hai avvertita tu la mia paura? Alla fine di maggio – quello stesso anno – per un banale incidente, in cui chi guidava riportò semplici fratture, perse la vita la donna cui avevamo fatto da testimoni di nozze solo cinque giorni prima.
Avevamo un telefono ‘storico’ che squillò nel pomeriggio. Risposi e, quando dissi di conoscere la persona di cui mi era stato detto il nome completo, sentii: ‘La ragazza è deceduta’. Quella paura è incisa profondamente nel mio mondo emozionale, non riesco a cancellarla anche se mi sono sempre sforzata di tenerla a bada.
Avrei potuto non rientrare. Altro che andare al cinema!”
Questo il racconto scritto dalla paziente, una donna ormai matura, su richiesta della psicoterapeuta. Le è stato proposto di descrivere un momento della sua vita trascorsa in cui ha provato paura e precisamente una paura ancora viva nel suo mondo emozionale, che secondo lei contribuisce a creare un disagio quotidiano, o quasi. Quando c’è un altro al volante, in particolare il coniuge, lei vive il viaggio in tensione, non riesce a rilassarsi, non si fida completamente anche se sa che lui guida da sempre con sicurezza. Da parte sua l’abilità al volante non c’è mai stata, nonostante abbia guidato per decenni. Ha sempre pesato – racconta – il giudizio negativo sulle donne al volante. Un luogo comune? Non lo sa. Certo non sa cambiare una gomma. Ma ora non le serve più, forse. Ci sono stati anche tamponamenti banali, senza ripercussioni, in un periodo in cui era molto più facile fermarsi a lato della strada per verificare i danni in atteggiamento amichevole. Ora non riesce a fare a meno di dire: “Stai più indietro. Guarda che qui ci sono i cartelli che indicano quale dev’essere la distanza di sicurezza!”. E questa è solo la prima paura che le è venuta in mente.
Ha molta fiducia in questo incontro, il suo primo di psicoterapia, che affronta all’interno di un soggiorno di ben-essere che le è stato regalato.
“Nel centro si attuano la prevenzione, la diagnosi e la terapia, con la finalità di mantenere al meglio lo stato di benessere psicofisico e sociale dell’individuo, ripristinando le sue stesse capacità di guarigione e rispettandone l’equilibrio e l’integrità” erano le parole che l’avevano colpita nella presentazione. Che felicità quando aprì il biglietto di auguri e trovò proprio quel dono!
Ed ora eccola qui.
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